Matteo Zoppas, Presidente dell’Italian Trade Agency: “Made in Italy cresce nonostante gli aumenti”

Presidente Zoppas, gli Stati Uniti mostrano sempre più interesse verso le eccellenze italiane. Quali trend positivi avete osservato negli ultimi anni e come sfruttare questa apertura per rafforzare la presenza del nostro Paese sul mercato statunitense?

È una domanda interessante. Guardando i numeri di crescita dell’agroalimentare – mi concentro soprattutto su questo settore – possiamo osservare che, dal 2019 (prima della pandemia) fino al 2022-2023, c’è stata una crescita a doppia cifra, nonostante l’impatto del lockdown e la successiva riapertura dei mercati. I costi dei trasporti sono aumentati smisuratamente, anche di cinque volte, sia sulla costa Est che su quella Ovest, e più in generale in tutta l’America. Questo ha messo a dura prova la competitività dei nostri prodotti dal punto di vista del prezzo.

Quando i costi logistici hanno cominciato a ridursi, è scoppiata la guerra in Ucraina, che ha fatto aumentare i costi dell’energia, influendo nuovamente sul prezzo finale dei nostri prodotti. Queste due voci di costo – trasporti ed energia – hanno colpito soprattutto chi produce in Italia e vende negli Stati Uniti, non chi produce direttamente qui. Eppure, nonostante tutto, il Made in Italy ha continuato a crescere incessantemente.

Questo dimostra la forza del nostro brand: i consumatori, piuttosto che rinunciare a un prodotto italiano, hanno preferito pagarlo di più. È un segnale forte. Certo, non sappiamo se questa dinamica durerà per sempre, perché prima o poi i mercati potrebbero presentarci il conto. Ma oggi, nonostante un aumento del dollaro pari a circa il 10% da inizio anno (che di fatto è già una sorta di tassa), e nonostante l’incertezza sui dazi, le vendite continuano a crescere.

Per dare un dato: nel 2024 abbiamo registrato un +17% nell’export agroalimentare, e nei primi quattro mesi del 2025 c’è già un ulteriore +14%. È vero che ci sono delle flessioni, per esempio la birra ha registrato un calo del 40% nel 2025, e anche il riso ha subito un contraccolpo. Ma nel complesso, l’andamento è positivo.

I dazi non devono essere introdotti per diverse ragioni: prima di tutto per una questione di competitività, e poi per proteggere la nostra value chain. Se togliamo marginalità alla nostra catena distributiva, rischiamo che gli operatori preferiscano orientarsi verso altri Paesi. Inoltre, dobbiamo evitare che i dazi si riflettano sul consumatore finale, che altrimenti potrebbe acquistare meno, penalizzando soprattutto i prodotti più simili alle commodity – quelli con bassi margini e alta sostituibilità.

Per fortuna, molti prodotti italiani sono difficilmente sostituibili: hanno costruito un brand forte, una riconoscibilità, una premiumness. Il consumatore è disposto a pagarli di più pur di non rinunciarvi.

Guardando al futuro, quali sono le sfide e le opportunità per l’export italiano? E quali strumenti sta mettendo in campo l’Italian Trade Agency per accompagnare le imprese all’estero?

Stiamo accelerando sia sulla promozione che sullo sviluppo. La promozione è il racconto del Made in Italy, mentre lo sviluppo riguarda eventi come il Fancy Food Show, dove si crea un business matching tra clienti e produttori italiani.

La nostra azione è continua, come una goccia cinese: alimentiamo il contatto tra cliente estero e fornitore italiano. Quando si è compreso che i dazi potevano rappresentare una criticità, la Farnesina ci ha indicato di accelerare in 14 Paesi particolarmente strategici. Ma ha anche sottolineato che gli Stati Uniti non possono essere trascurati: è un mercato che abbiamo conquistato con fatica e che ha un valore enorme. Perderlo significherebbe dover spendere molte energie per riconquistarlo.

Cosa rende così forte la connessione tra Italia e Stati Uniti nel campo del Made in Italy?

Più che cercare un motivo esterno, direi che la forza sta nei nostri prodotti: sono realizzati bene, spesso meglio dei competitor. Hanno qualità, servizio, creatività, inventiva. E poi stile, design. Anche nel cibo: c’è gusto, presentazione, un modo di cucinarlo che riflette tutta la filiera impostata su questa eccellenza.

Quali sono i prodotti italiani più richiesti qui negli Stati Uniti, nel settore food?

Dipende. Se guardiamo ai volumi, la pizza è tra i prodotti più diffusi, anche se con una minore premiumness. Il vino va molto bene, con i nostri marchi più noti e posizionati – quelli che finiscono in “-aia” per capirci – che ci rappresentano molto bene. Il prosecco è ancora un fenomeno in crescita, con una brand awareness difficilmente superabile. E poi ci sono la mozzarella, la pasta, l’olio… tutti i nostri grandi classici stanno funzionando bene sui mercati internazionali.

Un’ultima domanda. Per un brand, cosa significa partecipare a un evento come il Fancy Food Show?

Dipende dal livello di maturazione del processo di internazionalizzazione. Un brand già consolidato può qui preparare una vetrina ottimizzata, incontrare tutti i suoi clienti in un unico luogo, risparmiando tempo e risorse. Inoltre, eventi come questo permettono di respirare i trend di mercato, capire dove sta andando il settore, cosa si muove nella ricerca e sviluppo. È un momento strategico per cogliere opportunità, ma anche per anticipare rischi.

Grazie, Presidente Zoppas, per essere stato con noi a New York.

Grazie a voi.

Ti è piaciuto questo articolo?

0 voti
Mi è piaciuto Non mi è piaciuto

Total votes: 0

Upvotes: 0

Upvotes percentage: 0.000000%

Downvotes: 0

Downvotes percentage: 0.000000%

Hey there!

Forgot password?

Forgot your password?

Enter your account data and we will send you a link to reset your password.

Your password reset link appears to be invalid or expired.

Close
of

Processing files…

Torna in alto