In Italia 100 mila casi di ictus ogni anno, prevenzione e cure fanno la differenza

ROMA (ITALPRESS) – L’ictus è una delle principali cause di morte e disabilità nel mondo: si verifica quando il flusso sanguigno al cervello viene interrotto o ridotto, provocando una sofferenza dei tessuti cerebrali. Le forme principali sono l’ictus ischemico, dovuto all’occlusione di un’arteria, e l’ictus emorragico, causato dalla rottura di un vaso sanguigno. In Italia si registrano ogni anno circa 90-100mila nuovi casi, con un impatto notevole sul sistema sanitario e sociale: l’incidenza cresce con l’età, soprattutto oltre i 65 anni e con un picco oltre i 75 anni. Il controllo dei fattori di rischio e la rapidità nel trattamento sono elementi determinanti per ridurre l’impatto dell’ictus sul sistema sanitario e soprattutto sulla vita delle persone che ne sono colpite. “La situazione in Italia sul fronte ictus è tutto sommato stabile: il numero di 100-110mila nuovi casi all’anno si mantiene nel tempo. Questo è legato al fatto che la popolazione invecchia e l’età avanzata rappresenta il maggior fattore di rischio per tutte le malattie circolatorie, incluso l’ictus”, ha dichiarato Mauro Silvestrini, preside della facoltà di Medicina dell’Università politecnica delle Marche, intervistato da Marco Klinger per Medicina Top, format tv dell’agenzia di stampa Italpress.

Tra le condizioni che generano l’ictus, prosegue, “vanno ricordate l’ipertensione arteriosa, il diabete, la dislipidemia: ci sono poi una serie di condizioni strettamente connesse con uno stile di vita a volte non adeguato come fumo, eccesso di alcol, inattività fisica, stress, cattiva qualità del sonno notturno. Il tempo è il fattore fondamentale: abbreviare i tempi tra la comparsa del disturbo e l’inizio della terapia è il primo aspetto in grado di influenzare positivamente la prognosi di un paziente. Il cervello è il nostro organo più delicato e non riesce a resistere a condizioni di stress circolatorio: questo spiega perché ogni secondo che passa dall’inizio del disturbo crea una perdita di strutture cerebrali che diventa rapidamente irreversibile”. Fondamentale, secondo Silvestrini, “evitare a ogni costo di sottovalutare qualsiasi disturbo che ci fa pensare che una parte più o meno grande del nostro cervello non stia funzionando adeguatamente: i principali segni legati a un disturbo circolatorio in atto sono una mano che non si muove con la stessa destrezza dell’altra, una gamba più pesante, la bocca che si storce, una certa difficoltà ad articolare le parole, una perdita di coordinazione. Una volta entrato in un ospedale attrezzato per gestire una situazione di questo tipo, il paziente mette immediatamente in atto un protocollo che parte dall’esecuzione di una Tac: questa è fondamentale per discriminare tra l’ischemia e l’emorragia. Oltre l’80% dei casi è legato a un disturbo di tipo ischemico: in base al riscontro vengono intraprese tutte le procedure che portano il paziente a usufruire delle terapie di rivascolarizzazione, farmacologiche o endovascolari”.

L’Italia ha registrato qualche passo avanti negli ultimi anni rispetto alla materia, nella misura in cui “il numero di Unità ictus è stato enormemente incrementato, ma non siamo ancora arrivati a pieno regime: abbiamo oltre 200 centri nei nostri ospedali, ne servirebbero un centinaio in più. Il problema fondamentale è la mancanza di proporzione tra le strutture esistenti in diverse parti del nostro paese: oltre la metà si trova infatti nelle regioni del nord. C’è bisogno di aumentare la cultura e la consapevolezza di quello che si può fare in un paziente con ictus: i percorsi andrebbero ottimizzati e resi omogenei in tutta Italia, andrebbe adeguata la rete delle emergenze, andrebbe ottimizzato il trasporto dei pazienti negli ospedali più vicini dotati di Unità ictus. Una delle caratteristiche di tali unità è poter assicurare al paziente una presa in carico riabilitativa entro la prima giornata: chiunque sia ricoverato in Unità ictus viene sottoposto a valutazione e il trattamento inizia subito; un ictus trattato precocemente ha il 70% di probabilità di prognosi favorevoli”.

L’ultimo aspetto su cui si sofferma Silvestrini è quello della prevenzione: “Bisogna innanzitutto prendersi cura di se stessi: in questo modo la maggior parte degli ictus sarebbero evitabili o comunque procrastinabili all’età più avanzata; attività fisica per mezz’ora al giorno, una dieta adeguata, controlli medici ed eventuali prescrizioni di farmaci sono fondamentali. Ho avuto il privilegio di assistere a un cambiamento epocale: la possibilità di aprire i vasi chiusi nella maggior parte dei pazienti ha costituito una rivoluzione. Oggi l’ictus ci fa molta meno paura: cominciamo ad avere armi anche contro la sorella povera dell’ictus ischemico, ovvero l’emorragia. C’è un progresso costante, ma soprattutto un miglioramento della consapevolezza di quanto possa essere fatto in queste condizioni”.

– Foto tratta da video Medicina Top –

(ITALPRESS)

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